Shanghai, la Perla d’Oriente.
Shanghai, la puttana d’oriente. Venduta al dio denaro, al business sempre e a tutti i costi; venduta alla trasgressione della sua vita notturna.
Il Paese dei balocchi, dove tutto è possibile. Dove non si dorme mai, se non sui divanetti di un locale notturno, o su una scrivania di un ufficio di vetro. O almeno così, si vede la città al primo impatto, con occhi occidentali, ma non solo.
A Shanghai ci si reinventa, e a chiunque è dato provarci.
Ma basterà un secondo sguardo, neanche troppo attento, per notare le contraddizioni, tangibili in ogni scorcio.
Pudong e Puxi, le due parti della città, spaccata in due dal fiume Huangpu.
Pudong, la bandiera dell’espansione cinese, esibita con orgoglio dall’alto dei suoi grattacieli. La Pearl Tower, il Cavatappi, la Shanghai Tower, definiscono agli occhi del mondo uno skyline inconfondibile.


Puxi, identificata principalmente con l’area della Concessione francese, dove le tradizioni vanno a braccetto con idee provenienti da tutto il mondo. Un labirinto di vie alberate, dove perdersi in bicicletta, tra cappuccini di Starbucks e street food locale. Oppure dove passare pomeriggi di shopping, tra i flagship store delle griffe internazionali e i negozi a gestione autoctona, il cui gusto e autenticità sono discutibili.


E poi la notte, che non fa mistero del suo essere tentatrice. Ristoranti, locali, discoteche. Cibo, cocktail, musica di ogni tipo. L’immagine di una città che sta scoprendo il mondo, lasciandosi a scoprire a sua volta, nelle sue molteplici sfaccettature. E con essa, le sue giovani generazioni, attratte da uno stile di vita sconosciuto ai loro genitori, travolti da un cambiamento che mi chiedo se saranno in grado di gestire.
Ma Shanghai non lascia il tempo alle domande. Va vissuta, appieno.